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15 gennaio 2014 3 15 /01 /gennaio /2014 13:13

Anteprime in ombra, di Franco Santamaria, Kairos Ed. 2013

 

                            a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

È una poetica di grande effetto e di buona compattezza quella di Franco Santamaria. Il quale in questa raccolta dal titolo emblematico: Anteprime in ombra, espone versi ricchi di pathos e articolati con un linguaggio maturo e in progress.

Avevo letto altri testi dell’autore, traendone la convinzione che la sua poesia fosse valida, ampia e sperimentale, non artificiosa, mai, ma sperimentale, sì, ha molte linee di contatto con quella poetica rappresentativa di un paesaggio, quello matese, dove l’autore è nato, che lo riporta di frequente a quel panorama della reperibilità terragna in cui il suo istinto alla conservazione dell’oggetto poetico è nato e, che rappresenta per ciascun poeta del luogo, l’intelligente memoria del ricordo, insito nella mediterraneità di tanti altri autori conterranei.

Il pensiero che la manifesta e la scrive è sempre molto vasto.

Si compiace di una dottrina che precede un progetto letterario tra i più ampi.

Infatti, Santamaria affonda nell’onirico di una vocazione a rembours, dove le semplici e chiare verità aprono a figurazioni immaginifiche,e suggeriscono stupori, meraviglie, atteggiamenti in cui il mondo appare denudato dai suoi valori e concetti essenziali:

                                   E nella valle non venne la neve

                                   qui nebbia remota divora

                                   dura in fumo lungo

                                   d’incendio

                                   e la pioggia infierisce

                                   ad annegarci per sempre.

 

Si tratta spesso di una poetica naturalistica e materica, quella dell’autore, che egli sa plasmare bene e della quale sa tessere fili impensabili d memoria e di radici, versi che tuonano con rombi improvvisi, quando il poeta lascia il segno distintivo della sua scrittura, tesa a sintetizzare l’autentico simbolo della materia umana, immagazzinando nella rivelazione che sempre scava fino in fondo, nella storia e negli antefatti dell’esistente, la verità conclamata.

Franco Santamaria si collega al lettore di poesia con la sua immagine di primitiva bellezza, alla quale aggancia la sofferenza dell’uomo, la propria materia vivente e il tormento, la sofferenza della sua avventura sulla terra:

 

                           Come i fiori

 

                        Vagano nel buio

                        gli occhi, nulla

                        vedono

                        se non il volto in addio di un fiore spinoso.

 

                        Precipita inesorabilmente

                        il cuore

                        alle secche labbra

                        è impresso un nome

                        finito da poco.

 

E’ finito l’amore?

Rifiorirà domani,

se non morrai, come i fiori

nelle stagioni del mondo.

 

Ardimentoso diviene il percorso amoroso nella dialettica dell’autore, quando le testimonianze di vita gli fanno osservare vaghezze e progetti evocativi, scavi individuale di un percorso in cui è bello azzardare in una liricizzazione del messaggio, che si fa caratteristico del suo modello individuale, in situazioni che potrebbero essere indicativi di una mancanza di sublimazione lirica. Invece, il poeta registra ogni indugio con una cadenza polimorfica del discorso, in cui fa apparire tutti gli elementi in esso raccolti. È uno scavo profondo quello di Santamaria, che non si chiude e non si conclude con la morte dell’individuo, ma si riflette nella storia di ognuno e s’identifica nella versione rigenerante del pensiero. Vi è in atto una rarefazione metafisica: il sogno quasi si liquefà, la vita si assottiglia, perde colore, sapore, ma il poeta consuma le ultime gocce dell’olio che gli restano, come un cercatore d’oro, bulina le variazioni e ristruttura volta per volta le sue memorie, le sue metafore, i suoi stupori, come fosse la prima alba del mondo:

 

Alba

 

Alba umida di buio e di sogni

annegati.

 

Solitudine.

 

Poi a danza violenta s’apre la terra.

 

                                                         Ninnj Di Stefano Busà

 

 

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