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26 giugno 2014 4 26 /06 /giugno /2014 20:44

Profilo di Franco Campegiani

 

Franco Campegiani vive a Marino (Rm), dove è nato nel settembre 1946. Ha pubblicato nella collana di Mario dell'Arco: "L'ala e la gruccia" (1975) e “Punto e a capo”  (1976). Nel 1986 ha pubblicato “Selvaggio pallido” nelle collane di "Carte Segrete”, con disegni di Umberto Mastroianni. Quindi, nel 1989, “Cielo amico”, in una collana della Ibiskos inaugurata da Domenico Rea. Del 2000 è "Canti tellurici" ("Sovera Multimedia”) e del 2012 “Ver sacrum” (“Tracce Edizioni”). In campo filosofico, ha pubblicato nel 2001, con l’editore “Armando”, un saggio dal titolo: "La teoria autocentrica - analisi del potere creativo", prefato dal filosofo Bruno Fabi, dove ha sviluppato un'innovativa teoria dell'armonia dei contrari. Critico d’arte, Campegiani è giurato in alcuni premi letterari e ha curato rassegne e collane per conto di Editrici e Gruppi culturali. Collabora a riviste, a blog letterari e ha promosso manifestazioni artistico-letterarie, nonché eventi multimediali ed iniziative ecologiche. Ha dato impulso a svariati cenacoli culturali e nel 2005, insieme allo scrittore Aldo Onorati e al sociologo Filippo Ferrara, ha dato vita al Manifesto dell'Irrazionalismo sistematico ispirato all'opera del Maestro Bruno Fabi. Numerosi i riconoscimenti e i premi conseguiti. Nel 2008 il Progetto Athanòr gli ha conferito una laurea honoris causa in filosofia. E' antologizzato in "L'evoluzione delle forme poetiche" (Kairòs 2013), una ricognizione sulla migliore produzione poetica nazionale dell'ultimo ventennio, a cura di Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo.

 

 

 

Il tempo delle origini

 

Vuoto mentale, all'improvviso,

e si svegliano i fanciulli,                      

un popolo di essenze

e di temibile amore

che si riversa nelle vie,

colombe sulle spalle

e conche sulla testa

d'acqua purissima

attinta alle fonti del non-tempo,

del presente eterno

multicolore e vario,

posto tra parentesi,

nascosto tra le pieghe

del tempo che fu e del tempo

che non è ancora stato,

quel presente che non scorre

ed è padrone del tempo,

lo tiene in mano, facendolo

vergine e nuovo

e sempre facendolo vibrare.

All'improvviso si spegne

questa flebile luce

della storia e dell'intelletto fatuo,

del grigio memoriale,

dell'acrilico colore delle attese,       

e torna il tempo delle origini           

con immutati stupori.

Passato e futuro

sono carboni ardenti,

ali di morte d'una bruciata falena,

le due teste agonizzanti di Giano,

e il nuovo giorno incede radioso,

con fiamme d'azzurro

tra vergini terre e salmastri mari

ribollenti di selvaggia energia.

Irrompe l'eterno nel tempo

e basta un attimo                             

per rinnovare smarrite alleanze,

ritrovare sacre relazioni.

Un sole nuovo scintilla,

sereno sguardo del nascosto dio.

Un solo attimo, poi torneranno

schizofreniche le teste ad urlare,

divaricandosi i tempi

delle memorie e delle attese,

chiusi per sempre i canali. 

 



Alzo il calice

 

Alzo il calice in trepida attesa.

Al di là dei flutti spumeggianti

apparirai danzante in filigrana       

e un’onda anomala mi porterà da te.

Sarà allora il momento d’annaffiare

l’arso palato affinché irrompa

l’entusiasmo del dio nelle mie vene 

per salpare e sciogliere le ali

verso ogni cosa diversa da me.

Cercherò l’estate nell’inverno

e nel sole la turgida luna,

cercherò il mattino nella sera

e la morte nella vita,

io convesso nel tuo concavo biondo,

contadino di cieli siderali,

dove poterti infine respirare

ed averti totalmente…

Fuggirai ridente, lo so,

oltre le rive abissali

insieme al dio che sparirà

da questo calice,

quando io l’avrò svuotato,

oltre frontiera,

e la morte verrà.

Ma al di là di un altro calice ambrato,

ancora ti vedrò danzare,

vesti al vento, seni al vento,

gambe schiuse

sulla mia solitudine nera,

mentre squarci d’eterno fioriranno

su questi tavoli d’osteria.

Fuggirai ancora, lo so,

nell’insondabile mistero

insieme a tutto ciò che è altro

e diverso da me.

E’ novembre e un vento di primavera

scende nei vicoli dai cimiteri,

spruzza fragranze nei vuoti calici             

dove il glicine spunterà.





 

 



 

 

 

 

 

 

Piovra metropolitana

 

Di cemento e di asfalto dipinsero

il verde dei colli, squassarono valli

questi serpi di piovra,

prosciugarono laghi,

stregarono rocce,

sibilando sinistri nel vento

metropolitano…

Con un colpo di coda dall’Urbe

la piovra annullò le vigne dei padri

e succhiò in un ghigno dai monti

le plebi rurali.

Dove sono le strade sterrate,

le contrade maestre di vita?

dove i carri, le greggi, le file

di muli a sgravarsi dai dorsi

le grasse vendemmie

nei grottini di mosto odorosi?

Invano mio padre nell’orto

l’accesso sbarrava

a tetti e ciminiere.

Invano cantavano i vicoli

al ritmo delle mandòle

e le piazze al bisbiglio

di fresche fontane.

Del peperino si spense

la grigia vivezza

nel grigio morente di smog,

di asfaltocemento,

di nubi tossiche ed altri

civili veleni mortali…

Oh, grazia incivile degli avi,

oh vita, oh morte, oh splendido abbraccio

di aspre dolcezze ed amori letali!

Brindo a te, Giano bifronte,

con questo calice dolce ed amaro.

Il vitale veleno rinnovi

nel bollente mio sangue barbarico

la virile innocenza contadina. 

 

 

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