Profilo di Franco Campegiani
Franco Campegiani vive a Marino (Rm), dove è nato nel settembre 1946. Ha pubblicato nella collana di Mario dell'Arco: "L'ala e la gruccia" (1975) e “Punto e a capo” (1976). Nel 1986 ha pubblicato “Selvaggio pallido” nelle collane di "Carte Segrete”, con disegni di Umberto Mastroianni. Quindi, nel 1989, “Cielo amico”, in una collana della Ibiskos inaugurata da Domenico Rea. Del 2000 è "Canti tellurici" ("Sovera Multimedia”) e del 2012 “Ver sacrum” (“Tracce Edizioni”). In campo filosofico, ha pubblicato nel 2001, con l’editore “Armando”, un saggio dal titolo: "La teoria autocentrica - analisi del potere creativo", prefato dal filosofo Bruno Fabi, dove ha sviluppato un'innovativa teoria dell'armonia dei contrari. Critico d’arte, Campegiani è giurato in alcuni premi letterari e ha curato rassegne e collane per conto di Editrici e Gruppi culturali. Collabora a riviste, a blog letterari e ha promosso manifestazioni artistico-letterarie, nonché eventi multimediali ed iniziative ecologiche. Ha dato impulso a svariati cenacoli culturali e nel 2005, insieme allo scrittore Aldo Onorati e al sociologo Filippo Ferrara, ha dato vita al Manifesto dell'Irrazionalismo sistematico ispirato all'opera del Maestro Bruno Fabi. Numerosi i riconoscimenti e i premi conseguiti. Nel 2008 il Progetto Athanòr gli ha conferito una laurea honoris causa in filosofia. E' antologizzato in "L'evoluzione delle forme poetiche" (Kairòs 2013), una ricognizione sulla migliore produzione poetica nazionale dell'ultimo ventennio, a cura di Ninnj Di Stefano Busà e Antonio Spagnuolo.
Il tempo delle origini
Vuoto mentale, all'improvviso,
e si svegliano i fanciulli,
un popolo di essenze
e di temibile amore
che si riversa nelle vie,
colombe sulle spalle
e conche sulla testa
d'acqua purissima
attinta alle fonti del non-tempo,
del presente eterno
multicolore e vario,
posto tra parentesi,
nascosto tra le pieghe
del tempo che fu e del tempo
che non è ancora stato,
quel presente che non scorre
ed è padrone del tempo,
lo tiene in mano, facendolo
vergine e nuovo
e sempre facendolo vibrare.
All'improvviso si spegne
questa flebile luce
della storia e dell'intelletto fatuo,
del grigio memoriale,
dell'acrilico colore delle attese,
e torna il tempo delle origini
con immutati stupori.
Passato e futuro
sono carboni ardenti,
ali di morte d'una bruciata falena,
le due teste agonizzanti di Giano,
e il nuovo giorno incede radioso,
con fiamme d'azzurro
tra vergini terre e salmastri mari
ribollenti di selvaggia energia.
Irrompe l'eterno nel tempo
e basta un attimo
per rinnovare smarrite alleanze,
ritrovare sacre relazioni.
Un sole nuovo scintilla,
sereno sguardo del nascosto dio.
Un solo attimo, poi torneranno
schizofreniche le teste ad urlare,
divaricandosi i tempi
delle memorie e delle attese,
chiusi per sempre i canali.
Alzo il calice
Alzo il calice in trepida attesa.
Al di là dei flutti spumeggianti
apparirai danzante in filigrana
e un’onda anomala mi porterà da te.
Sarà allora il momento d’annaffiare
l’arso palato affinché irrompa
l’entusiasmo del dio nelle mie vene
per salpare e sciogliere le ali
verso ogni cosa diversa da me.
Cercherò l’estate nell’inverno
e nel sole la turgida luna,
cercherò il mattino nella sera
e la morte nella vita,
io convesso nel tuo concavo biondo,
contadino di cieli siderali,
dove poterti infine respirare
ed averti totalmente…
Fuggirai ridente, lo so,
oltre le rive abissali
insieme al dio che sparirà
da questo calice,
quando io l’avrò svuotato,
oltre frontiera,
e la morte verrà.
Ma al di là di un altro calice ambrato,
ancora ti vedrò danzare,
vesti al vento, seni al vento,
gambe schiuse
sulla mia solitudine nera,
mentre squarci d’eterno fioriranno
su questi tavoli d’osteria.
Fuggirai ancora, lo so,
nell’insondabile mistero
insieme a tutto ciò che è altro
e diverso da me.
E’ novembre e un vento di primavera
scende nei vicoli dai cimiteri,
spruzza fragranze nei vuoti calici
dove il glicine spunterà.
Piovra metropolitana
Di cemento e di asfalto dipinsero
il verde dei colli, squassarono valli
questi serpi di piovra,
prosciugarono laghi,
stregarono rocce,
sibilando sinistri nel vento
metropolitano…
Con un colpo di coda dall’Urbe
la piovra annullò le vigne dei padri
e succhiò in un ghigno dai monti
le plebi rurali.
Dove sono le strade sterrate,
le contrade maestre di vita?
dove i carri, le greggi, le file
di muli a sgravarsi dai dorsi
le grasse vendemmie
nei grottini di mosto odorosi?
Invano mio padre nell’orto
l’accesso sbarrava
a tetti e ciminiere.
Invano cantavano i vicoli
al ritmo delle mandòle
e le piazze al bisbiglio
di fresche fontane.
Del peperino si spense
la grigia vivezza
nel grigio morente di smog,
di asfaltocemento,
di nubi tossiche ed altri
civili veleni mortali…
Oh, grazia incivile degli avi,
oh vita, oh morte, oh splendido abbraccio
di aspre dolcezze ed amori letali!
Brindo a te, Giano bifronte,
con questo calice dolce ed amaro.
Il vitale veleno rinnovi
nel bollente mio sangue barbarico
la virile innocenza contadina.