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4 giugno 2012 1 04 /06 /giugno /2012 16:16

a cura di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

Immaginiamo una mappa: tangenziali, strade, autostrade, viottole, piste, stradine di campagna, impervi sentieri di montagna, tutto, proprio tutto conduce ad un paesaggio irreale, quasi intimo, informale, nascosto ai più  -che è la Poesia - Poesia pianeta che vive di riflesso, come una cometa o una scheggia di cielo disertato dal sole.

Poesia allora come forma primordiale di vita? poesia che regna in luoghi e in tempi di "contaminatio" di anime, di rompicapi, di assenteistici bisogni, di favole inconchiuse, di pressapochismo, di invasiva e pervasiva opera di demolizione di valori, di significati che compongono la vita, e la sconvolgono e la dannano?

Proviamo a considerare il poeta in una landa deserta, quale è oggi il nostro mondo quotidiano, diamogli un lume e una ragione per farlo e in breve si ricreerà nella morbidezza e voluttà del sogno, un mondo parallelo, lo farà con colori tenui, con linee elegiache, con note di Strawinsky. Ebbene egli cercherà sempre il frutto più bello che la natura gli abbia regalato: " l'intelletto" per idealizzare il mondo, ricrearlo, farlo rivivere dentro e fuori dal suo abitudinario di miseria e d'ineluttabili eventi negativi.

Se avrà una matita si disegnerà un profilo d'anima che corrisponda alla linea immaginaria della sua permanenza sulla terra, più morbida, più cònsona alle esigenze del cuore.

Ciascuno è poeta dentro. Non s'illudano quelli che non fanno versi roboanti, anche loro in piccolo possiedono quella riserva aurea che dal nulla, attraverso una ipotesi di poesia possa far spuntare le stelle nel firmamento.

Chiunque può idealizzare il luogo più infelice della terra e renderlo vivibile, sopportabile, può colorarlo, animarlo coi sentimenti, abitarlo con i suoi ideali e le sue memorie.

La poesia, in fondo è anche saper vivere una dimensione parallela, immaginarsi un mondo migliore, destabilizzare il vecchiume marcio dell'utile ad ogni costo, per ambire a progetti di rispettosa e intelligente idealità.

Non è facile, ne sono consapevole, ma non bisogna dire: "non sono poeta" perché la poesia vive dentro ciascuno, basterà recuperarla dal fondo d'anima, smaltarla, darle nuova patina e nuova fede, riavvicinarsi alla speranza che essa porta con sé, perché la poesia è ansia d'infinito, voglia di vivere una dimensione "altra" che non sia il sudiciume di questo relittuale lutto umano.

Basterà solo cercarla per vederla rifiorire, là dove credevamo di averla perduta o di non averla mai posseduta. Tutte le strade dell'anima passano dalla poesia, che ci porterà in cieli nuovi, in luoghi dove sarebbe impossibile transitare, senza la coscienza di possedere un'anima immortale. 

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4 giugno 2012 1 04 /06 /giugno /2012 14:11

di Ninnj Di Stefano Busà

 

Il poeta è sempre stato il sognatore, colui che vola con le parole al di là e al di sopra dei concetti sterili, banali, stereotipati degli altri. Colui che reagisce all'inganno del mondo in maniera eclatante: si fa sentire, reclama la sua parte di cielo, inventa o sogna un piccolo eden nascosto dove rifugiarsi a pensare, a scrivere  con la voce del vento o nella solitudine.

Il poeta non condivide la sciatta monotonia della normalità, insignificante e asettica, il poeta è il lottatore, l'atleta in una palestra di rachitici, egli lotta per la sopravvivenza della poesia, (che sta per estinguersi) interviene sulla casta moralità dei benpensanti, dei moralisti dell'ultima ora, che vedono nella poesia il passatempo, la noia, la irrilevante/insignificanza del pensiero. Il poeta è un <barbaro sognatore> non come affiliato alla Lega, ma al suono della parola, al significato potente delle sue immagini ideali e fantastiche, vere ali, per volare....ci vuole un grande sogno, in questi tempi per smuovere ali atrofizzate dalla troppa immobilità intellettuale.

Il poeta predilige il silenzio, fa sua la notte, la mancanza di suoni o rumori, l'isola felice dove far volare i suoi aquiloni,  perché la spinta interiore, la forza ineluttabile delle sue molte vite, lo spinge ad essere fuori del tempo, fuori dagli schemi che ne atrofizzano la volontà del poiein.

 

 

 

 

 

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2 giugno 2012 6 02 /06 /giugno /2012 10:00

di Ninnj Di Stefano Busà

 

INGREDIENTI (x 4 persone): 1 kg di palombo100 gr. di mandorle tostate, 1 spicchio d'aglio, 2 ciuffi di prezzemolo, 4 foglie di basilico, olio extravergine di oliva, 2 cucchiai di farina, 2 cucchiai di Brandy, sale e pepe.

 

 

Lavate e tagliate il pesce a tocchi, infarinatelo e sistematelo in una teglia da forno antiaderente con un filo d'olio. Tritate finemente l'aglio, il prezzemolo, il basilico e cospargetelo sul palombo. aggiustate di sale e pepe, irrorate con 2 cucchiai di Brandy e riponete in forno preriscladato a 180° per mezz'ora. Tostate le mandorle in un padellino antiaderente senza alcun condimento, mescolandole in continuazione. Pestatele e a fine cottura spolveratele sul pesce. Servite caldo con un Pigato ligure bianco.

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1 giugno 2012 5 01 /06 /giugno /2012 14:22

di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

INGREDIENTI: (x 4 persone) 350 gr. di riso semifino, 250 gr. di funghi chiodini, 1 cipolla, 1 noce di burro, 1 litro di brodo di carne (anche dado), 2 cucchiai di Brandy, 2 bustine di zafferano, 2 ciuffetti di prezzemolo. 4 cucchiai di pecorino grattugiato, olio extravergine di oliva, sale e pepe.

 

 

In una padella antiaderente, fate appassire in 2 cucchiai d'olio e 1 di acqua la cipolla tagliata finemente, aggiungete i chiodini (anche surgelati) fateli cuocere per 5 minuti. Versate il riso e fatelo tostare, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno. Irrorate col Brandy, lasciatelo sfumare. Versate il riso e aggiungete un mestolo di brodo ogni volta che appaia prosciugarsi. Aggiustate di sale. a cottura quasi ultimata, sciogliete lo zafferano in mezzo bicchiere di brodo caldo e versatelo, mantecate il risotto per qualche minuto con una nocetta di burro. Servite molto caldo, cospargendo con abbondante pecorino e un trito finissimo di prezzemolo. Consigliato un Prosecco di Valdobbiadene (Veneto)

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1 giugno 2012 5 01 /06 /giugno /2012 14:07

di Ninnj Di Stefano Busà

 

INGREDIENTI (x 4 persone): 350 di riso semifino, 400 di porri, 50 gr. di burro, 500 gr. di pescatrice, 4 cucchiai di parmigiano grattugiato, 1 bicchierino di Martini bianco, 1 litro di brodo vegetale (anche dado) pepe.

 

 

Lavate e asciugate la pescatrice, tagliate la polpa a piccoli pezzi. Pulite e lavate i porri, eliminate le parti più dure verdi, utilizzate solo la parte bianca tenera. Rosolate i porri in un tegame antiaderente, aggiungete il riso e fatelo tostare su fiamma vivace,a metà cottura del riso, versate il pesce a tocchetti e fatelo insaporire.  Cospargete con il Martini e ultimate la cottura aggiungendo sempre un mestolo di brodo vegetale e continuando a mescolare continuamente. Tenete il risotto un po' morbido all'onda, cospargete (se vi piace) con il parmigiano e un trito finissimo di prezzemolo. Servite caldissimo con pepe fresco macinato al momento. Suggerisco un Ischia DOC (campano)

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1 giugno 2012 5 01 /06 /giugno /2012 13:49

di Ninnj Di Stefano Busà

 

INGREDIENTI (x 4 persone): 4 fette di polpa di tacchino piuttosto larghe, 2 mazzi di asparagi, 1 scalogno, 1 noce di burro, alcuni ciuffetti di erba cipollina, sale e pepe.

 

Lavate e lessate in acqua salata per 15 minuti gli asparagi (utilizzando solo la parte apicale più tenera). In una larga padella antiaderente rosolate nel burro lo scalogno, aggiungete gli asparagi scolati e fateli cuocere per 5 minuti. Frullate il composto nel mixer finché diventi una purea. Rosolate le fette di tacchino nella stessa padella con 1 cucchiaio di olio, quando sono ben cotte da ambo le parti, sistematele su un piatto di portata, cospargetele con la purea di asparagi , guarnite con fette di limone e un trito di erba cipollina tagliuzzata finissima. Servite caldo. 

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1 giugno 2012 5 01 /06 /giugno /2012 08:58

di Ninnj Di Stefano Busà

 

 

INGREDIENTI: (x 4 persone) mezzo litro di brodo vegetale, 1 pollo tagliato a pezzetti, 12 spicchi d'aglio grossi, 1 noce di burro, olio extravergine di oliva, 3 rametti di prezzemolo, sale e pepe.

 

In un tegame con 1 cucchiaio d'olio fate rosolare i pezzetti di pollo, quando sono ben rosolati aggiungete il burro, gli spicchi d'aglio in guscio. Coprite e fate cuocere per 10 minuti a fuoco basso. Estraete il pollo, gli spicchi d'aglio e lasciateli da parte. Eliminate il fondo dell'olio. Rimettete in tegame e versate 1 mestolo di brodo, il pollo e un bicchierino di Cognac. Fate cuocere ancora fino al prosciugamento del brodo a fiamma bassa. Passate allo schiacciapatate gli spicchi d'aglio. Sistemate i pezzi di pollo in un piatto da portata, amalgamateli con la purea di aglio e servite caldo, cospargendo  con un trito finissimo di prezzemolo. Vino consigliato: Costa d'Amalfi rosso. 

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31 maggio 2012 4 31 /05 /maggio /2012 14:09

di Ninnj Di Stefano Busà

 

INGREDIENTI (x 4 persone): 250 gr. di gnocchi freschi, mezzo barattolo di polpa di pomodori in scatola, 1 costa di sedano, 4 foglie di basilico, 2 cucchiai di ricotta, 1 cucchiaio di mascarpone, 1 scalogno, 50 gr. di pancetta affumicata, olio extravergine di oliva, 4 cucchiai di pecorino grattugiato, sale e pepe.

 

 

In una padella antiaderente con 2 cucchiai d'olio fate rosolare lo scalogno e la costa di sedano tritatissimi, quando sono morbidi aggiungete la pancetta tagliata sottilissima a pezzettini, il basilico, la polpa di pomodoro. Aggiustate di sale e pepe e fate cuocere per 10 minuti. Unite la ricotta e il mascarpone. Lessate gli gnocchi, (sono pronti quando vengono a galla), versateli in padella col condimento e mescolate accuratamente. Sistemate in un piatto di portata, cospargete di abbondante pecorino e servite caldissimo.  

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28 maggio 2012 1 28 /05 /maggio /2012 15:59

COMUNICATO-STAMPA

 

Concluso (26 maggio, 2012) con grandissimo successo di critica e di pubblico il Premio Ecuador-Italia: "L'Integrazione culturale attraverso la Letteratura" 2012. La nuova sede rinnovata del Circolo della Stampa al civico 48 di Milano, era gremita fino all'inverosimile. La manifestazione riguardante la II° rassegna del Premio Intern.le promosso ai fini di un interscambio tra i popoli, come atto dovuto verso il patrimonio civile e umano di tutti, cerca un modo di produrre una ricca testimonianza di fede, di fratellanza e di collaborazione.  

La giuria: (Presidente) Ninnj Di Stefano Busà, componenti: Franco Loi, Corrado Calabrò, Mario Santagostini, Maurizio Cucchi, Davide Rondoni, Michelangelo Camelliti, Alessandro Quasimodo, Sveva Casati Modignani, Alessandro Vavassori, Guaman Allende, Haidar Hafez ha deliberata la rosa dei Vincitori: ses. A singola edita/inedita 1° premio Carmelo Consoli, Marisa Provenzano, Duska Covacevic; sez B libro edito: Annamaria FerramoscaAnna Belozorovich e Daniela Raimondi; sez C libro di narrativa edito Vittorio Casati, Nicoletta e Luigino Vador, Michel Dingenouts; Sez D narrativa per bambini: Livy Former, Renzo Piccoli, Anna Bartiromo. Sono stati inoltre assegnati i riconoscimenti alla Cultura e alla Carriera a molte personalità dell'agone contemporaneo. Tra i presenti: Vittorio Sgarbi che diventa da questa edizione Presidente onorario del Premio. Sono stati conferiti premi al Sindaco Pisapia, Stefano Boeri Assessore alla Cultura del Comune, Elsa Fonda, Aldo Pirola, Fabrizio Arensi, Stefano Zurlo, Andrea Battistini, Flavio Ermini, Roberto Sarra, Giampiero Neri, Irma Dioli, Marina Pratici, Gregorio Giungi. Il nostro è un progetto culturale d’ampio respiro, che intende cogliere nel segno della partecipazione tra i popoli, con la piena consapevolezza di abbattere le frontiere dell’odio e dell’inimicizia e favorire un mondo migliore, sfruttando positivamente il patrimonio umano delle genti: la diversità non deve essere un impedimento, ma un avvicinamento e, semmai, un avvicendamento naturale della storia.” Ha detto nella sua prolusione la Presidente Ninnj Di Stefano Busà e ha aggiunto: “crediamo in questa condivisione di valori, è nostra finalità partecipare ad un processo evolutivo  che realizzi un percorso comune, indicando una strada da seguire per il raggiungimento del bene di tutti i popoli. La promozione di questo programma va oltre le etnie, in una convivenza globalizzata ma umana tra civiltà, in un percorso di crescita e armonia che vada al di là di ogni supponibile differenza e diversità. Un progetto che sappia aprire i cuori e le menti alla speranza del futuro.” Calorosi gli applausi e gli interventi delle varie personalità convenute, in un’atmosfera densa di magìa e di arricchenti significati culturali e umani.

 

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25 maggio 2012 5 25 /05 /maggio /2012 13:46

IL SOGNO E LA SUA INFINITEZZA:

L’ARC-EN-CIEL DI NINNJ DI STEFANO BUSA’

 

 

      Nell’immaginario di chi sta scrivendo, Il sogno e la sua infinitezza si è rivelato un subitaneo manifestarsi, l’immediato formarsi di un arcobaleno. L’itinerario tracciato da Ninnj Di Stefano Busà ha, in effetti, nei suoi punti di partenza e d’arrivo, e nel suo svilupparsi, i tratti caratteristici di un luminosissimo arc-en-ciel.

      Ci spieghiamo meglio: la raccolta si apre (già prima del suo vero e proprio inizio) con un esergo, dell’autrice stessa, che recita così: “La Poesia è nel destino. / Sinapsi ascensionale che sublima. / (Come a un cielo l’ala), / dagli abissi del male, spicca il volo / e il mondo viene avvolto / di assoluto.”. Bene, ci è parso di scorgere in questa “sinapsi ascensionale”, in questa congiunzione - come anche l’ètimo suggerisce - lo sfocato contorno, perché “avvolto di assoluto” e, dunque, di mistero, della genesi di un che d’inafferrabile ma sufficiente  a legare la terra al cielo: allo stesso modo del sorgere dell’iride, così nasce il sogno di questa scrittura.

      Ma è soltanto lo schiudersi: poi, i colori si fanno sempre più vivaci, senza perdere la loro inconsistenza divengono eterei, s’impadroniscono della loro vera dimensione. “Rinascere” - scrive la poetessa - significa “tentare / quel poco che non conosciamo. . .”, e qui la tensione, oltre ogni apparenza, è massima: è il luogo in cui la corda s’annoda all’arco, comincia a tendersi perché sente che l’arciere è pronto a scagliare la sua freccia. Passa ancora qualche istante - il tempo di puntare verso l’alto - e il sogno comincia a descrivere la sua parabola: “la visuale delle cose diventa già memoria”, ma sono già stati elargiti i doni (“lo strappo dell’abbraccio, / il fiore d’innocenza, la melagrana spaccata / al solleone.”).

      Eppure, ogni freccia “lascia dietro di sé / scie di felicità incompiuta” ma bisogna “trattenerla” adesso, ora o mai più, che il canto della terra è “certezza” di luce; ed eccola la liturgia della parola, la sua sacralità: la recapita il silenzio del mare, “il suo cobalto”, che “c’insegna” una morte nuova, “un approdo senza agguati che ci stringa / al suo infinito.”. E, comunque, di morte si tratta, giacché di quel tempo in cui beltà splendea  tutto è destinato a perdersi: “a scaglie come l’albatro”, la giovinezza “si spiuma sul greto del torrente. / Lascia piumaggio e sofferenza tra i rivoli / sfrangiati, pure se al becco porta ancora / i segni d’alba. . .”; è un morire, però, che coincide con una nascita: il morire indispensabile della carne che fa tornare “al brivido primo” la “rosa candidissima” del sogno.

      Quanto esposto - sarà bene precisarlo - non deve autorizzare a pensare ad un nostalgico, incongruente e debole ritorno, ché nulla, in questo percorso, indica qualcosa di statico, tanto meno, di ripetitivo: qui, al pari della mutevole cangianza iridescente del fenomeno naturale, al pari del sogno, la trasformazione è continua. Le piccolissime gocce, sospese in aria, a volte rifulgono, altre s’adombrano, altre ancora si spengono per riaccendersi in un angolo qualunque dell’orizzonte (“Mi oscuro alla mia infanzia, zolla terrosa / privata dall’acqua, vita secondaria / che più non arde, ma brucia.”).

     E’ la milizia terrena che combatte la sua impietosa guerra contro la fuga del tempo. . . quel tempus fugit. . . che riguarda l’intero e integro percorso del nostro diurno tracciato, compreso dall’equazione vita/morte. . .”, sostiene Walter Mauro.

      E la Di Stefano Busà sembra rispondergli: “Il divenire d’acqua, la filigrana a sciami / si sciolgono da noi come parole mancanti, respiro di cose perdute. / Ma il limite sempre mancato induce / a negare la sabbia alla clessidra.”.

      I confini - quelli della nostra finitudine - sono gli stessi estremi dai quali ha origine e fine la volta luminosa dell’arcobaleno. Ma esistono altre eternità che ci è dato conoscere, altre Colonne d’Ercole da oltrepassare? No, perché il mondo ha principio e termine laddove, e nel momento in cui, ognuno di noi ha scelto di nascere e morire: l’illusione, ma - si badi bene - non l’utopia, il sogno è la forza maggiore, la più imponente e imbattibile arma di difesa che abbiamo; e, davvero, “giace addormentata nel folto della sabbia”, quella stessa sabbia, forse, che ci manca per colmare d’infinito il vuoto di quella clessidra che, volenti o nolenti, dobbiamo riempire.

      Vogliamo, però, tornare all’allegoria sulla quale abbiamo fondato l’intera esegesi, e questa volta desideriamo farlo da un punto di vista più strettamente semantico.

      Lo studio di questa parola ci porta, prima di tutto, a metterne in evidenza la naturalezza, che è sempre sintomo - in poesia - del raggiungimento del più difficile dei traguardi: vale a dire la maturazione di una semplicità tutt’altro che agevole perché conquistata sul campo e, conseguentemente, di uno stile coerente e fluido.

      Si dirà: e il nesso, la relazione con la metafora sulla quale abbiamo a lungo insistito?

      Invitiamo il lettore a riflettere sui versi che seguono:

      “Ti trovo / come l’erba tagliata sul muro / . . . . / un sogno dentro un altro che sopravvive / . . . . / Lì la parola divampa di sillabe redente / . . . . / Un sogno la vita, che accompagna / grani di poesia, mentre spalanca l’anima alla fonda.”.

      Se, attraverso la lettura, si riuscirà a percepire quella “involontaria fragilità e forza” di parole “tremanti” e “dirompenti” ad un tempo, non potranno, le stesse, non disporsi a scomporre la luce per stupirci ancora - magari illudendoci - con un nuovo arcobaleno.

 

 

 

 

 

 

                                                                         Sandro Angelucci

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    

 

IL SOGNO E LA SUA INFINITEZZA:

L’ARC-EN-CIEL DI NINNJ DI STEFANO BUSA’

 

 

      Nell’immaginario di chi sta scrivendo, Il sogno e la sua infinitezza si è rivelato un subitaneo manifestarsi, l’immediato formarsi di un arcobaleno. L’itinerario tracciato da Ninnj Di Stefano Busà ha, in effetti, nei suoi punti di partenza e d’arrivo, e nel suo svilupparsi, i tratti caratteristici di un luminosissimo arc-en-ciel.

      Ci spieghiamo meglio: la raccolta si apre (già prima del suo vero e proprio inizio) con un esergo, dell’autrice stessa, che recita così: “La Poesia è nel destino. / Sinapsi ascensionale che sublima. / (Come a un cielo l’ala), / dagli abissi del male, spicca il volo / e il mondo viene avvolto / di assoluto.”. Bene, ci è parso di scorgere in questa “sinapsi ascensionale”, in questa congiunzione - come anche l’ètimo suggerisce - lo sfocato contorno, perché “avvolto di assoluto” e, dunque, di mistero, della genesi di un che d’inafferrabile ma sufficiente  a legare la terra al cielo: allo stesso modo del sorgere dell’iride, così nasce il sogno di questa scrittura.

      Ma è soltanto lo schiudersi: poi, i colori si fanno sempre più vivaci, senza perdere la loro inconsistenza divengono eterei, s’impadroniscono della loro vera dimensione. “Rinascere” - scrive la poetessa - significa “tentare / quel poco che non conosciamo. . .”, e qui la tensione, oltre ogni apparenza, è massima: è il luogo in cui la corda s’annoda all’arco, comincia a tendersi perché sente che l’arciere è pronto a scagliare la sua freccia. Passa ancora qualche istante - il tempo di puntare verso l’alto - e il sogno comincia a descrivere la sua parabola: “la visuale delle cose diventa già memoria”, ma sono già stati elargiti i doni (“lo strappo dell’abbraccio, / il fiore d’innocenza, la melagrana spaccata / al solleone.”).

      Eppure, ogni freccia “lascia dietro di sé / scie di felicità incompiuta” ma bisogna “trattenerla” adesso, ora o mai più, che il canto della terra è “certezza” di luce; ed eccola la liturgia della parola, la sua sacralità: la recapita il silenzio del mare, “il suo cobalto”, che “c’insegna” una morte nuova, “un approdo senza agguati che ci stringa / al suo infinito.”. E, comunque, di morte si tratta, giacché di quel tempo in cui beltà splendea  tutto è destinato a perdersi: “a scaglie come l’albatro”, la giovinezza “si spiuma sul greto del torrente. / Lascia piumaggio e sofferenza tra i rivoli / sfrangiati, pure se al becco porta ancora / i segni d’alba. . .”; è un morire, però, che coincide con una nascita: il morire indispensabile della carne che fa tornare “al brivido primo” la “rosa candidissima” del sogno.

      Quanto esposto - sarà bene precisarlo - non deve autorizzare a pensare ad un nostalgico, incongruente e debole ritorno, ché nulla, in questo percorso, indica qualcosa di statico, tanto meno, di ripetitivo: qui, al pari della mutevole cangianza iridescente del fenomeno naturale, al pari del sogno, la trasformazione è continua. Le piccolissime gocce, sospese in aria, a volte rifulgono, altre s’adombrano, altre ancora si spengono per riaccendersi in un angolo qualunque dell’orizzonte (“Mi oscuro alla mia infanzia, zolla terrosa / privata dall’acqua, vita secondaria / che più non arde, ma brucia.”).

     E’ la milizia terrena che combatte la sua impietosa guerra contro la fuga del tempo. . . quel tempus fugit. . . che riguarda l’intero e integro percorso del nostro diurno tracciato, compreso dall’equazione vita/morte. . .”, sostiene Walter Mauro.

      E la Di Stefano Busà sembra rispondergli: “Il divenire d’acqua, la filigrana a sciami / si sciolgono da noi come parole mancanti, respiro di cose perdute. / Ma il limite sempre mancato induce / a negare la sabbia alla clessidra.”.

      I confini - quelli della nostra finitudine - sono gli stessi estremi dai quali ha origine e fine la volta luminosa dell’arcobaleno. Ma esistono altre eternità che ci è dato conoscere, altre Colonne d’Ercole da oltrepassare? No, perché il mondo ha principio e termine laddove, e nel momento in cui, ognuno di noi ha scelto di nascere e morire: l’illusione, ma - si badi bene - non l’utopia, il sogno è la forza maggiore, la più imponente e imbattibile arma di difesa che abbiamo; e, davvero, “giace addormentata nel folto della sabbia”, quella stessa sabbia, forse, che ci manca per colmare d’infinito il vuoto di quella clessidra che, volenti o nolenti, dobbiamo riempire.

      Vogliamo, però, tornare all’allegoria sulla quale abbiamo fondato l’intera esegesi, e questa volta desideriamo farlo da un punto di vista più strettamente semantico.

      Lo studio di questa parola ci porta, prima di tutto, a metterne in evidenza la naturalezza, che è sempre sintomo - in poesia - del raggiungimento del più difficile dei traguardi: vale a dire la maturazione di una semplicità tutt’altro che agevole perché conquistata sul campo e, conseguentemente, di uno stile coerente e fluido.

      Si dirà: e il nesso, la relazione con la metafora sulla quale abbiamo a lungo insistito?

      Invitiamo il lettore a riflettere sui versi che seguono:

      “Ti trovo / come l’erba tagliata sul muro / . . . . / un sogno dentro un altro che sopravvive / . . . . / Lì la parola divampa di sillabe redente / . . . . / Un sogno la vita, che accompagna / grani di poesia, mentre spalanca l’anima alla fonda.”.

      Se, attraverso la lettura, si riuscirà a percepire quella “involontaria fragilità e forza” di parole “tremanti” e “dirompenti” ad un tempo, non potranno, le stesse, non disporsi a scomporre la luce per stupirci ancora - magari illudendoci - con un nuovo arcobaleno.

 

 

 

 

 

 

                                                                         Sandro Angelucci

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

    

 

 

 

                                                                    

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

Ninnj Di Stefano Busà. Il sogno e la sua in finitezza. Edizioni Tracce. Pescara. 20

 

 

 

 

                                                                    

 

 

 

 

 

 

 

  

 

 

 

 

 

 

Ninnj Di Stefano Busà. Il sogno e la sua in finitezza. Edizioni Tracce. Pescara. 20

 

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